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Il libro Le crisi adottive: una opportunità a cura di Leonardo Luzzatto, Anna Guerrieri ed Emanuela Cedroni è la rappresentazione corale di un progetto operativo in Regione Lazio da ormai 4 anni dedicato al post-adozione e alle crisi adottive. In questo articolo cercherò di darvi un primo assaggio di quello che è un lavoro molto ampio e ricco.

Come il libro, il progetto è in continuo divenire, si interroga, osserva dei pit stop, si ricalibra mentre lo si realizza, e sembrano entrambi, progetto e libro, l’immagine riflessa uno dell’altro. Non è quindi un caso che nel titolo compaiano sia la parola crisi che la parola opportunità. Le crisi familiari portano con sé dolore e smarrimento, spesso anche grande senso di solitudine e fallimento, decidere di inserire il termine opportunità, sia pure in forma interrogativa, ha, quindi, per noi, un significato specifico: rappresenta il riconoscere la possibilità del cambiamento messo in moto proprio da quel dolore e da quello smarrimento. Lasciamo ai lettori e alle lettrici il punto di domanda. Condivideranno con noi, grazie alle pagine lette, la stessa percezione? Oppure coglieranno qualcosa di diverso? Aprire la potenzialità di nuove riflessioni è una delle vocazioni di questo testo. E, proprio per permettere di scoprire “cosa” e “come” è stato fatto, il libro, nella sua struttura, ripercorre in modo fedele i primi due anni, dal 2018 al 2020, del Progetto messo in atto dalla Regione Lazio sul post- adozione e le crisi adottive.

Il Progetto, nato a valle di un progetto di formazione voluto e co-costruito dal basso dai Servizi Regionali stessi e grazie ad una cabina di Regia venutasi a creare in quell’occasione, ha avuto ed ha vari assi di azione: gli interventi con ricaduta diretta sulle famiglie in difficoltà; il potenziamento delle conoscenze e dell’efficacia degli interventi degli operatori, attraverso un complesso progetto di supervisioni e formazione; il monitoraggio e la documentazione della realtà regionale dell’adozione.

Nel libro, grazie al contributo di decine di autori e autrici (che hanno partecipato in prima persona al lavoro), viene raccontato tutto questo: il lavoro con genitori e ragazzi e ragazze, le terapie familiari, individuali, i gruppi di genitori, le supervisioni e i webinar per gli operatori, il monitoraggio. E viene fatto all’interno di una cornice teorica costruita insieme in anni di lavoro e confronto.

Per comprendere la complessità anche solo della parte riguardante “il potenziamento delle conoscenze e dell’efficacia degli interventi degli operatori, attraverso un complesso progetto di supervisioni e formazione” basti pensare che tutti gli operatori della Regione, insieme a operatori degli Enti Autorizzati e ad insegnanti (quando necessario), sono stati divisi in 6 gruppi. Questi gruppi ogni mese hanno portato casi in supervisione, alternando supervisioni sistemico-relazionali con supervisioni psico-dinamiche (avvalendosi di 3 supervisori sistemico relazionali e di 6 supervisori psico-dinamici).

Durante i primi due anni di progetto le supervisioni sistemico-relazionali erano dedicate a “situazioni scuola” e quelle psico-dinamiche a “situazioni origini”. Quando venivano portati in supervisione casi riguardanti la scuola spesso erano presenti gli insegnanti coinvolti nei casi, quando erano portati in supervisione casi origini erano presenti Giudici Onorari del Tribunale dei minorenni di Roma. Le supervisioni allargavano sempre l’orizzonte e di volta in volta venivano coinvolte anche altre professionalità (per esempio chi seguiva privatamente i contesti).

Io personalmente, in quei primi due anni, mi sono occupata del coordinamento delle supervisioni dedicate alla scuola (delle supervisioni dedicate alle origini era coordinatore Leonardo Luzzatto). E’ stata una esperienza di estremo impegno, ma al tempo stesso è stata una enorme opportunità. Per esempio ho seguito io stessa tutte le supervisioni, mettendomi a disposizione del gruppo con ciò che potevo portare: la mia esperienza e la mia conoscenza sul tema, maturata a partire dal punto di vista dell’associazionismo familiare.

Il Progetto della Regione Lazio ha realizzato la possibilità, attraverso la creazione di sei gruppi di supervisione, con un’utenza mista di operatori e insegnanti, di luoghi e tempi per poter pensare insieme. I partecipanti ai gruppi hanno potuto confrontarsi, grazie a casi concreti, su cosa significassero le criticità degli alunni adottati e su come affrontarle dal punto di vista del servizio pubblico, degli enti autorizzati, degli insegnanti, permettendo uno scambio importante di informazioni e riflessioni sui propri modi di lavorare. I partecipanti (in maggioranza operatori dei GILA) hanno potuto interrogarsi fattivamente sul come fare rete con chi si era occupato dei bambini prima dell’inserimento in famiglia, con i giudici onorari e i tutori, con gli operatori degli enti autorizzati, con gli insegnanti, con i terapeuti privati che seguivano le famiglie. Si sono chiesti come e quando intervenire con le scuole in modo efficace e in che ruolo porsi rispetto alle famiglie. In tutti i gruppi erano presenti degli insegnanti (in cinque gruppi su sei in modo costante). Alcuni di loro erano gli insegnanti delle bambine e dei bambini i cui casi erano portati in supervisione, altri erano insegnanti interessati e coinvolti dal progetto. Se gli insegnanti direttamente collegati ai casi avevano richieste specifiche, gli altri spesso contribuivano su tematiche più generali.

“Pensare insieme”, questo è stato ed è uno degli ingredienti essenziali del lavoro. Quante volte ho visto il cambiamento delle percezioni degli insegnanti nello scoprire come lavorassero per davvero i Servizi, gli Enti Autorizzati, nel comprendere cosa implicasse la parola “adozione” nella vita delle persone (gli alunni e i loro genitori).

Nelle supervisione si attivava un processo di con-visione, in cui ogni partecipante del gruppo contribuiva con una propria percezione, una propria sensazione, il proprio pensiero sulla situazione presa in esame. E ogni situazione rappresentava un bambino o una bambina, un ragazzo o una ragazza e le loro famiglie.

Era la con-visione ad aumentare “l’aria”, ad aprire la possibilità di un “andare avanti”, al poter procedere con un senso di sollievo perché “non si era più soli”.

Nelle situazioni critiche i genitori si sentono sovente isolati, non ascoltati, percepiti ansiosi o inopportuni. Anche gli insegnanti, tuttavia, si sentono spesso soli, non avvertendo, talvolta, nemmeno il supporto del proprio luogo di lavoro. Gli e le insegnanti, inoltre, spesso cambiano di anno in anno e questo non fa che contribuire ad un senso di volatilità. Mancano, per molti di loro, luoghi per pensare assieme ai colleghi e, conseguentemente, mancano spazi per sviluppare il dialogo con le famiglie e con le reti di supporto sociale. Gli operatori dei servizi condividono, con gli insegnanti, queste percezioni di isolamento e frammentazione lavorativa. Facilmente chi si occupa di un caso in post-adozione non è chi ha curato il percorso pre-adottivo della coppia e più di una volta ci si è confrontati, nelle supervisioni, con la difficoltà di reperire informazioni quando i colleghi che avevano in carico casi non erano più in servizio. Analoga volatilità è spesso percepita dagli operatori degli enti autorizzati. Lavorare con le scuole, da parte degli operatori, significa porsi molte domande: Quali sono le situazioni in cui è giusto intervenire? Quando e come intervenire per far si che si creino reti stabili di collaborazione? Continuare a lavorare sulla creazione di spazi che “mettano insieme” le scuole, i servizi, le associazioni familiari, gli enti autorizzati e che permettano di comprendersi e di costruire linguaggi comuni è, dunque, strategico sia per un più efficace post-adozione sia per la ricaduta sociale a favore di tutte le famiglie.
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