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Il Corpo Estraneo – ETS è un libro di cui ho curato la pubblicazione nella Collana Genitori si diventa a cura della casa editrice Edizioni Ets
 
E’ chiaro che, avendolo scelto, il libro mi convinceva. Tuttavia, in questo caso, non si trattava solo di convinzione e nemmeno del fatto che conoscessi bene l’autrice (conosco molti degli autori e delle autrici che hanno pubblicato nella Collana Genitori si diventa).No, non era questo. 
Erano il “cosa” e il “come” che mi convincevano. Il cosa veniva trattato e il come veniva trattato.
 
Il “come”, è lo stile di un saggio, la riflessione di qualcuno che ci passa attraverso le cose e ci riflette. Il taglio è quello sociologico. A me piace, ma questo indubbiamente è soggettivo.
Il “cosa”, il “cosa” per me era molto interessante, ed anche per questo varie volte (molte volte) sono stata presente alla presentazione del libro.
Ogni volta, infatti, si poteva partire da angolazioni diverse, ogni volta si potevano prendere strade diverse. A me interessava che non ci fosse mai una risposta banale ad ogni questione posta.
L’autrice infatti affronta tutto ciò che può diventare uno stereotipo nell’adozione, senza esclusione di “colpi”. I temi sono tanti e si intrecciano, ma tutti hanno a che fare con la “legittimità” e il “significato” dell’adozione.
Mi permetto di andare a braccio e ricordare un paio di angolazioni.
 
Il figlio vissuto come “dono”, ovvero la persona che è stata adottata vissuta come “dono”. Ciò che viene descritto nel libro permette di ragionare su quelle metafore che, ad esempio, usando la presenza della parola “dono” sia nella parola abban-dono e sia nella parola per-dono, alludono alla possibilità di poter dare un senso a qualcosa che molto spesso “un senso non lo ha”.
L’abbandono può mai avere un senso ultimo? Esiste un filo che unisce tutto e ci consola di ciò che accade?
 
La visione dell’autrice è assoluta? Direi di no.
Se seguiamo il suo implicito suggerimento di mettere in discussione tutti i principi di autorità, certamente lei stessa va messa in discussione e quindi il suo pensiero ha il limite di essere il “suo” pensiero. Altri possono sentire e pensare differentemente.
 
Tuttavia le pagine in cui il pensiero sul “dono” viene deostruito sono semplici e potenti proprio per questo: un dono è un’oggetto, un dono è un passaggio tra adulti (adulte) e quindi oggettifica i bambini che dovrebbero invece essere sempre i protagonisti.
 
E’ importante ragionare su queste cose?
Penso di si. Lo è nella misura in cui i nostri pensieri, e il nostro modo di pensare i figli, inevitabilmente influenza proprio loro. Chiederci come li pensiamo non è un solo una riflessione, un esercizio mentale.
 
In altre parti l’autrice affronta il tema della “legittimità”, del senso della famiglia che adotta e quindi il senso dell’adozione stessa (ma in fondo anche il tema del “dono” ha già a che fare con questo).
Questo libro a ben vedere è tutto sul senso dell’adozione stessa.
Nella sua analisi del libro “La ferita primaria” di Newton Verrier mette in discussione un punto di vista che da tanti anni tocca la dimensione “adottiva”: la ferita primaria è ineludibile, certamente non affrontabile all’interno della famiglia che adotta, “ferisce” ed è insanabile, rende una categoria a parte.
 
Non è mio interesse entrare nell’analisi dettagliata che l’autrice fa, ma mi interessa molto come fa luce su una questione fondamentale: l’adozione è davvero qualcosa che crea “un mondo a parte”?
Si legge spesso, si ascolta negli incontri, che l’adolescenza di chi è adottato è diversa da quella di chi non lo è, che i legami di coppia di chi è adottato sono diversi da quelli di chi non lo è, che le relazioni sentimentali, ecc.
L’infanzia di chi viene adottato è certamente diversa da chi non ha bisogno di essere adottato. Che l’intervento dell’adozione sia un intervento “drammatico” questo è certo. Si interviene perchè “si deve”, non causalmente. I dossier dei bambini e delle bambine che vengono adottati sono “difficili” da leggere. Non si dimenticano.
E l’adozione “strappa”, anche quando viene fatta con cura. “Entra” nei legami tra fratelli, tra amici, entra in ciò che è stato e porta nel dove poi si sta.
 
Si la differenza c’è.
C’è nel aver potuto stare con la propria madre, nell’aver subìto spesso maltrattamenti e incuria, nell’esser spesso stati in balia di adulti non accudenti o maltrattanti o abusanti (anche in affidi o in istituzioni che non si sono prese cura dei piccoli e delle piccole).
Certamente questo resta nelle persone, sta nelle persone e le persone ci dovranno fare qualcosa anche più volte nell’arco della propria vita.
Sarebbe sciocco ignorarlo.
 
Tuttavia, io personalmente, trovo disturbante che l’adozione poi diventi (anche grazie i paradigmi come quelli della “ferita primaria”) una sorta di “convitato di pietra” che riempie la scena come se fosse unica protagonista della storia delle persone, storia fatta anche di tanto altro, della propria resistenza e resilienza, degli incontri, delle persone giuste e sbagliate con cui si fa la strada, dei legami familiari attuali ed anche, a volte, delle relazioni con parti della propria famiglia di origine.
 
Se l’adozione ha senso è perchè serve come tutela di bambini e bambine in grande difficoltà e solitudine, bambini che subiscono maltrattamenti, abusi, che sono lasciati dolorosamente a se stessi. Ed ha senso perchè si possono creare legami autentici che permettono di vivere la vita che ognuno per se vorrà vivere.
 
E’ questo che #IlCorpoEstraneo ci aiuta a “sentire” e “pensare”.
 
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