by

Una differenza che produce una differenza è un’informazione
Bateson

Parlare di differenza e soprattutto del valore delle “differenze” a scuola ha un che di ridondante. In fondo se ne parla tanto e i percorsi di formazione per insegnanti sono da sempre centrati sulla gestione delle differenze (di apprendimento, di comportamento, di percorsi di vita). E’ lecito dunque chiedersi, come mai, a fronte di tanta informazione e formazione appariamo poi così sguarniti nella quotidianità, nei rapporti reciproci, nel dialogare con chi la pensa in modo diverso da noi, nel constatare i livelli di conflittualità tra colleghi, tra scuola e famiglia, tra bambini e ragazzi e, in fondo, nelle famiglie stesse.

D’altra parte, un po’ ovunque, il discorso sulla differenza viene relegato alla pianificazione dei rapporti con chi “diverso” lo appare esplicitamente (per colore, per etnia, per provenienza, per neuro-diversità, per disabilità, per certificazione) facendo finta di ignorare che, in questa maniera spesso, finiamo per incastrarci in quegli stereotipi e quelle etichette che ci affanniamo a schivare.

L’etichetta induce a credere che, in virtù della classificazione e della diagnosi, si sia reso visibile qualcosa che appartiene all’essenza di una persona … Quando per esempio posiamo lo sguardo su un disabile, in genere vediamo un’etichetta che lo ricopre totalmente e dietro a cui, da un punto di vista sociale, egli scompare… E’ il miracolo dell’etichetta: produce l’impressione che l’essenza dell’altro sia visibile. A quel punto l’altro non è più una molteplicità contraddittoria che esiste in un gioco di luci e ombre, di velato e svelato, ma diventa immediatamente visibile e conoscibile. Si è convinti, grazie all’etichetta, di sapere tutto sull’altro … 
Benasayag e Schmit

Quello che serve ancora, in effetti, è una riflessione più complessa e profonda su quanto sia difficile avere a che fare con le differenze altrui e su quanto ci spiazzi ciò che le stesse ci dicono di noi stessi. E’ grazie alla percezione delle differenze esterne che apprendiamo, che comprendiamo, che ci trasformiamo e trasformiamo il mondo circostante. Senza coglierle, noi staremmo immobilmente privi di ogni slancio vitale. Il punto semmai è comprendere quanto complesso sia e parziale, anche a livello cognitivo, farsene un’idea non troppo riduttiva. Per strategia di sopravvivenza abbiamo bisogno di semplificare e schematizzare ciò che sperimentiamo, per decidere e scegliere necessitiamo di stereotipi ed anche di una certa dose di pre-giudizi. Il problema reale è che restiamo fin troppo inconsapevoli della parzialità del nostro stesso pensare. Più o meno aggrappati a un personalissimo sistema di riferimento, in difficoltà a immaginare di poterlo cambiare, cogliamo schegge di realtà, immaginando di essere capaci di carpirne l’essenza oggettiva.

Desideriamo normalizzare la vita che abbiamo davanti, ma la vita è sempre plurale ed irriducibile. Ignorare le differenze o minimizzarle, per quanto seducente o apparentemente corretto, è un rischio anche perché getta nell’invisibilità chi invece molto visibile lo è.

Non essere un oggetto trasparente agli occhi dell’altro è la base della socievolezza  
Benasayag e Schmit

In ogni classe, esistono etichette per gli alunni («quel bambino»), per i genitori («non collaborano») e per gli insegnanti («non sa fare il suo lavoro») e allenare uno sguardo libero sull’altro diviene davvero essenziale, un allenamento che non possiamo che fare in prima persona. Cogliere lo sguardo altrui su di sé può essere spiazzante, non è sempre uno sguardo rassicurante.

Temiamo il giudizio, temiamo, forse e soprattutto, che il giudizio degli altri coincida con quello che intimamente pensiamo di noi. Vedersi dal di fuori a volte può essere il punto di partenza da cui partire per accettare di fare (un poco di) pace con sé. Ci aiuta spostare il proprio sguardo dal mondo fuori al mondo dentro di sé autorizzando noi stessi a scoprire qualcosa che non conosciamo, non dandoci per scontati e non etichettandoci, accettando che anche dentro di noi esistano parti che turbano e che dobbiamo imparare ad incontrare e accogliere, prima di pensare di poter accogliere altri.

Esistere, in verità, è penetrare nella propria esistenza con coscienza 
Kierkegard

Entrare in contatto con sé stessi è forse una delle poche strade per darsi la possibilità di incontrare chi ci sta davanti, accanto, perché sapere – almeno in parte – chi si è e chi si porta dentro può permettere di essere indulgenti e di cambiare angolazioni. Senza avere bisogno di andare lontano, guardiamo nel cerchio a noi più vicino: ci incontriamo in famiglia? nel palazzo o nel quartiere in cui abitiamo? nella nostra classe? Prima di alzare lo sguardo verso orizzonti troppo vaghi, guardiamo verso il nostro orizzonte più prossimo e chiediamoci chisia che incontriamo. A volte bisogna che si incontrino ogni giorno di nuovo: genitori con figli, amanti tra loro, insegnanti con alunni, colleghi …

Quel che vedi dipende dalla prospettiva in cui ti trovi. Per riuscire a vedere la tua prospettiva, devi cambiare prospettiva.
Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti perché incongruenti con le proprie certezze 
Sclavi

Il momento dell’incontro può facilmente coincidere con quello dello scontro facendoci entrare nella zona della rabbia, quella in cui tenere il controllo può essere difficilissimo. Ed è proprio qui, dove la navigazione avviene nella tempesta, senza bussole o stelle all’orizzonte, che ci troviamo quando incontrarsi ci spaventa, quando non riusciamo a contenere quel modo di pensare, di essere, agire, che proprio non sopportiamo.  In classe anche i comportamenti dei bambini e dei ragazzi a volte ci ricordano la nostra impotenza.

Sebbene avesse gli abiti ridotti a brandelli, i capelli spettinati e la faccia sporca, corse giù per gli scalini di pietra che portavano al villaggio e raggiunse la capanna dove la guaritrice sedeva a curare il fuoco.
“Guarda, l’ho trovato, il pelo dell’orso della luna crescente!” urlava la giovane donna.
“Bene” disse la guaritrice con un sorriso.
Prese il pelo bianco e lo guardò alla luce. “Sì, è un autentico pelo dell’orso della luna crescente”.
Poi d’improvviso si volse e gettò il pelo nel fuoco, dove scoppiettò e bruciò in una bella fiamma arancione.
“No” urlò la donna “cosa hai fatto?”
“Calmati, va bene così, è tutto a posto”, disse la guaritrice.
“Ti ricordi tutto quello che hai fatto per scalare la montagna? Ricordi tutto quello che hai fatto per conquistare la fiducia dell’orso? Ricordi quello che hai visto, quello che hai udito?”.
“Sì” rispose la donna, “lo ricordo benissimo”.
La vecchia guaritrice le sorrise dolcemente e disse: “Ora, figlia mia, torna a casa con tutte queste nuove conoscenze, e comportati nello stesso modo con tuo marito”.
Pinkola Estes

A volte, oltre a permettersi di dichiarare la propria impotenza, diventa essenziale, e talvolta basta, restituire all’altro una parte preziosa di sé

Per loro hai preso il cuore? Per loro hai fatto tutto quello che hai fatto, per farti amare?
Non era mai abbastanza.
Forse gli Dei ti hanno trovato per una ragione? Forse l’Oceano ti ha portato da loro perché ha visto qualcuno che meritava di essere salvato. Ma non sono stati gli Dei a fare  di te Maui. Sei stato tu.
Oceania

 

Bibliografia e cinematografia:

L’onda – Suzy Lee, Edizioni Corraini – La conoscenza come incontro di una bambina con le onde del mare – Silent book

In una notte di temporale – Yuichi Kimura, Salani Editore – La conoscenza dell’essenza reciproca nell’incontro tra una capretta e un lupo in una buia notte di temporale. Sarà possibile incontrarsi alla luce del sole?

Il pentolino di Antonino – Isabelle Carrier, Kite Edizioni – La conoscenza nel riconoscere le reciproche differenze in un incontro che permette di entrare in contatto.

Io non ho paura – Niccolò Ammaniti – Einaudi – La scoperta dell’impensabile in un incontro inaudito. La possibilità della relazione e della salvezza.

Oceania – Ron Clements e John Musker, Walt Disney film– La possibilità di restituirsi parti di se oltre lo scontro.

Dragon trainer – Chris Sanders e Dean DeBlois – L’incontro, la differenza, la differenza nella differenza e la relazione.

La forma dell’acqua – Guillermo del Toro – L’incontro, la differenza, il contatto e l’amore.

Edward Mani di forbice – Tim Burton – La differenza, la possibilità di un incontro, lo scontro, la relazione.

 

Quelle qui raccolte sono alcuni spunti offerti nella fase di avvio del Progetto omonimo realizzato grazie all’UCEI nelle 4 Scuole Ebraiche Italiane di Milano, Roma, Torino e Trieste.

 

(Visited 272 times, 1 visits today)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close Search Window