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Parlare di differenze significa parlare di relazioni, le differenze emergono dalle relazioni infatti ci direbbe Bateson, non dagli oggetti in sé. Affrontare ciò che disturba della differenza altrui ad esempio, quello che mette a disagio o impaurisce, significa parlare di relazioni tra le persone ed è un tema molto urgente. Si tratta di un’urgenza che investe la comunità educante e quindi ogni nodo del tessuto sociale in cui bambini e bambine, ragazze e ragazzi crescono.

L’accoglienza di chi non riconosciamo come parte del “nostro gruppo di riferimento” non va data per scontata perché i nostri pensieri sono costruiti, fra le altre cose, a partire dalle nostre esperienze pregresse (positive o negative), dai cortocircuiti mentali a cui ci siamo abituati e dalla cultura sociale in cui siamo immersi.

Non possiamo affrontare la questione minimizzando (o negando addirittura) la portata delle differenze che percepiamo. Se lo facessimo, toglieremmo valore a chi esprime queste differenze pretendendo, di fatto, una troppo immediata assimilazione-normalizzazione.

Le differenze vanno prima di tutto viste e riconosciute.

E d’altra parte abbiamo tutti bisogno di essere visti, per poter essere anche ascoltati o capiti, accolti. Ma chi ci guarda, come lo fa? E chi guardiamo noi, cosa sente?

Possiamo allenare il nostro sguardo ad essere libero?

Allenare uno sguardo libero, uno sguardo che può “vedere” gli altri, richiede lo sforzo di provare a guardare prima di tutto se stessi dal di fuori.

Da insegnante costringe a chiedersi: Come sono io per davvero in rapporto alla mia classe, ai genitori che incontro, ai colleghi con cui collaboro, alla disciplina che insegno? Mi piacciano i miei alunni, i miei studenti? Entro abbastanza tranquillamente nella mia scuola? Amo ciò che insegno?

Significa prima di tutto permettersi di cogliere lo sguardo altrui su di sé e non è sempre facile. Temiamo il giudizio, temiamo, forse e soprattutto, che il giudizio degli altri coincida con quello che intimamente pensiamo di noi stessi.

Tuttavia solo questo ci permette di scoprire cose di noi che potremmo non sapere comprendendo che anche dentro di noi esistono parti che turbano e che dobbiamo imparare ad incontrare e accogliere.

Incontrarsi, prima ancora che accogliere, è faticoso ma è un primo passo cruciale per poter poi aprire la porta agli altri, alle loro credenze e modi di essere.

Chiediamoci, infatti, chi sia davvero che incontriamo ogni giorno. Li conosciamo sul serio? Li stiamo dando per scontati? Ci permettiamo lo sguardo curioso e umile di chi è interessato a chi incontra?

Quel che vedi dipende dalla prospettiva in cui ti trovi. Per riuscire a vedere la tua prospettiva, devi cambiare prospettiva.

Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti perché incongruenti con le proprie certezze.

Da “Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte” di Marianella Sclavi

Gli incontri sono materia incandescente e lo sono anche a scuola. Incontrarsi tra alunni, diventare amici, scoprirsi nemici; incontrarsi tra colleghi, collaborare, consentire, dissentire; incontrarsi tra insegnanti e genitori, fidarsi e diffidare. Gli incontri sono fatti di gradualità, di dissensi ed anche di scontri. E gli scontri hanno quella consistenza violenta e imprevedibile che mette in discussione. In una classe, come altrove, è il momento della rabbia che spesso si teme ed a ragione, perché è quando non riusciamo a prevedere realmente né le altrui né le nostre reazioni.  I comportamenti dei bambini e dei ragazzi ci ricordano la nostra impotenza e abbiamo bisogno di comprenderla questa impotenza, perché accettare i nostri limiti è il primo passo per poter farli percepire anche a chi abbiamo accanto.


Questi sono alcuni dei contenuti che mi sono sentita di portare nel progetto Il valore delle differenze e la gestione dei conflitti realizzato dal 2018 al 2020 nelle Scuole ebraiche di Milano, Roma, Torino e Trieste e promosso dalla Commissione Giovani Educazione e Scuola – UCEI, coordinata da Saul Meghangi. La supervisione del progetto era a cura mia e di Dan Wiesenfeld e dal punto di vista organizzativo di Odelia Liberanome. Il progetto era dedicato agli insegnanti e si è articolato in seminari e laboratori, tutti estremamente interattivi.

Sono apparentemente contenuti teorici, dico apparentemente poiché il loro valore non sta nel raccontarli ma nel provare a viverli. Questa è stata la pratica, il provare a mettersi in una dimensione di ascolto attivo reciproco e di sguardo su se stessi attraverso lo sguardo degli altri. Giocare insieme è stato parte del lavoro.

Vorrei concludere con una frase di Bateson che davvero esprime meglio di me quanto ho descritto:

La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza.

 

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